venerdì 8 marzo 2013

"Città della Scienza, l'ultima delle Milionarie" di Antonio Cimmino

Alcune volte la speranza è un rischio da correre, altre il rischio più grosso tra tutti. Altre ancora, ha un sapore così sgradevole da poter vincere il primo premio al concorso per le uova marce. E questo accade in pochi, rari casi: quando non appare semplice ultimare con successo le parole crociate del New York Times, quando il contratto che aspetti tarda ad arrivare, e quando la speranza prende forme inaspettate. Forme rivoltose, dapprima violente, poi deboli e stanche. Come quella delle fiamme, come le fiamme di una passione, perchè si sa: la passione non perdona. Non si tratta di una forma di delirio, ma dell'incubo che ha accompagnato in tanti a Napoli, del risveglio che ha assalito tanti altri ancora. Simbolo del riscatto della città più controversa d'Italia, attrattore culturale, luogo di aggregazione sociale nonché incubatore di imprese, in una notte spazzata via. Nata dall'intuizione di Vittorio Silvestrini, presidente della fondazione Idis, Città della Scienza in una dozzina d'anni aveva guadagnato consensi e credibilità, non solo come luogo dove apprendere praticamente le leggi della scienza, grazie a decine di esperimenti pratici e dimostrazioni dal vivo, ma anche come centro congressi, centro di alta formazione, incubatore di imprese.

Il primo embrione del progetto risale agli anni Novanta; nel 2001 l'inaugurazione del vero e proprio museo interattivo, man mano ampliato da successive realizzazioni. Il tutto nell'incantevole scenario di Bagnoli, il quartiere ex industriale che, conclusa l'era dell'acciaio e dell'Italsider, aveva visto proprio in Città della scienza il primo simbolo concreto di un progetto di bonifica e di rinascita del quartiere. Con la Città della scienza è come se fossero bruciate ieri notte anche quelle speranze. Speranze di una politica culturale coraggiosa e intelligente, di un centro urbano colto, geloso e custode dei propri beni tradizionali, belli e tenuti bene, grazie all'efficienza collettiva della comunità. Alcuni hanno paragonato il rogo di Città della Scienza alla violenza che devastò il Teatro Petruzzelli di Bari. Ed ovviamente, lo slogan eletto a compendio dell'episodio è "Napoli ostaggio della camorra". E il sentimento che pervade un pò tutti è lo stesso che rilascia la vista di una Napoli "milionaria", squisitamente "eduardiana": è il momento di iniziare la ricostruzione. Il passato non deve cancellarsi, ma scolpirsi nella mente e nel cuore di tutti, diventare monito per l'avvenire. Perchè la guerra non è finita: i nemici interni sono ancora troppi. Si può forse pensare che grazie agli sforzi, agli innumerevoli progressi compiuti, alla presenza di tanta brava gente... 'a nuttata è passata... Ma sulla città non splende ancora la luce piena del giorno.

Cosa fare allora? La risposta è da sempre e sarà sempre la stessa: ognuno faccia il suo. Possiamo restare inermi ad osservare e subire l'ennesimo affronto, oppure uscire da dietro le quinte per paura. Come "contribuire"? Si sa, la bocca resta aperta quando ogni volta è fatta una domanda del genere. Sarà forse che le risposte sono tante e tutte troppo scomode. Ma volendo scegliere la più "comoda", ecco la mia preferita: chiamarla camorra e non svuotarla. Non renderla un capro espiatorio, un paravento. Una scusa. Siamo noi, le nostre scelte, le nostre istituzioni: è importante esserne consapevoli. Napoli sta morendo. Perchè ovunque si bruciano le città, si finisce per bruciare anche gli uomini.
 
 

mercoledì 6 marzo 2013

"Pensando un po' alla morte" di Paulo Coelho

«Credo che questo testo si potrà leggere in circa tre minuti. Ebbene, in questo lasso di tempo, moriranno 300 persone e ne nasceranno altre 620.
Forse io impiegherò mezz'ora per scriverlo: sono concentrato sul mio computer, sui libri accanto a me, sulle idee che mi vengono, sulle macchine che passano là fuori.
Tutto sembra assolutamente normale intorno a me. Invece, durante questi trenta minuti, sono morte 3.000 persone, e 6.200 hanno appena visto, per la prima volta, la luce del mondo.
Dove saranno queste migliaia di famiglie che hanno cominciato a piangere per la perdita di qualcuno, o a ridere per l'arrivo di un figlio, di un nipote, di un fratello?
Mi fermo e rifletto: forse molte di queste morti arrivano al termine di una lunga e dolorosa malattia, e certe persone saranno sollevate dall'Angelo che è venuto a prenderle. Inoltre, centinaia di questi bambini che sono appena nati quasi sicuramente saranno abbandonati nel prossimo minuto ed entreranno nelle statistiche di morte prima che io abbia finito questo testo. Pensate. Ho appena dato uno sguardo a una semplice statistica e tutt'a un tratto inizio ad avvertire il senso di queste perdite e questi incontri, questi sorrisi e queste lacrime. Quanti staranno lasciando questa vita da soli, nelle loro stanze, senza che nessuno si renda conto di ciò che sta accadendo? Quanti nasceranno nascostamente e saranno abbandonati davanti alla porta di qualche ricovero o di qualche convento?
Rifletto: ho già fatto parte della statistica delle nascite e, un giorno, sarò incluso nel numero dei morti. Che bello: io sono pienamente consapevole che morirò. Da quando ho fatto il cammino di Santiago, ho capito che - anche se la vita continua e siamo tutti eterni - un giorno questa esistenza si concluderà.
Le persone pensano molto poco alla morte. Passano la vita preoccupandosi di vere e proprie assurdità, rimandano cose, tralasciano momenti importanti. Non rischiano, perché pensano sia pericoloso. Si lamentano molto, ma diventano codarde quando è il momento di prendere provvedimenti. Vogliono che tutto cambi, ma loro si rifiutano di cambiare.
Se pensassero un po' di più alla morte, non tralascerebbero mai di fare quella telefonata che manca. Sarebbero un po' più folli. Non avrebbero paura della fine di questa incarnazione - perché non si può temere qualcosa che accadrà comunque.
Gli Indios dicono: “Oggi è un giorno buono come qualsiasi altro per lasciare questo mondo”. E uno stregone commentò una volta: “Che la morte sia sempre seduta al tuo fianco. Così, quando avrai bisogno di fare qualcosa di importante, essa ti darà la forza e il coraggio necessari”.
 
Spero che tu, lettore, abbia letto fin qui. Sarebbe una stupidaggine spaventarsi per il titolo, perché tutti noi, prima o poi, moriremo. E solo chi accetta questo è pronto per la vita»

martedì 5 marzo 2013


Quando scende la notte,
e la Luna è spettatrice in un teatro di stelle,
l’unica cosa da fare,
l’unica,
è addormentarsi...
Perché cominciare a pensare
alle origini dell’Universo, alle sorti del mondo, agli abissi degli oceani
piuttosto che ai volti delle passate entusiastiche speranze,
ti lascia cadere in un vortice
di terrore e di rimpianti
dal quale non ne esci
al mattino successivo...
La luce del giorno ti strazierà,
ti umilierà,
fino a che non calerà di nuovo il buio...
Ed uscirne sarà come opporsi al mare in tempesta...

venerdì 1 marzo 2013

Esseri soli.

Quando voi siete soli, in realtà non siete soli: vi sentite soli, ed esiste una differenza fondamentale tra l’essere soli e il sentirsi soli.
 
Sentirsi soli è l’assenza dell’altro. Essere soli è la presenza di se stessi.
 
Sentirsi soli è uno stato negativo. Sentite che sarebbe meglio se ci fosse l’altro: l’amico, la moglie, la madre, l’amato, il marito. Sarebbe meglio se ci fosse l’altro, ma l’altro non c’è.
 
Essere soli è estremamente positivo. E’ una presenza, una presenza traboccante. Sei così colmo di presenza che puoi riempire l’intero universo con la tua, e non hai bisogno di nessuno.
 
Ciò non significa che una persona del “secondo tipo” non viva con gli altri. In realtà, solo lui è in grado di vivere con gli altri, perché con la capacità di stare con se stesso ha acquisito la capacità di stare con gli altri. Se non sei in grado di stare con te stesso, come puoi stare con gli altri?
 
A tal proposito, si può sfruttare la meditazione: stare semplicemente seduti da soli, senza fare nulla. Se incomincerai a sentirti solo, vuol dire che manca qualcosa nel tuo essere, vuol dire che ancora non sei riuscito a comprendere chi sei. E correndo di qua e di là, inseguendo sempre un futuro, andando da una persona all’altra, non arriverai mai a comprendere te stesso!
Va’ invece in profondità in questo stato di solitudine, fino a raggiungere uno stato in cui all’improvviso il sentirti solo si trasforma in essere solo con te stesso. Si trasforma: l’isolamento è l’aspetto negativo della solitudine. Se andrai in profondità in questo stato, all’improvviso arriverà il momento in cui inizierai a percepire l’aspetto positivo, è inevitabile. Sei diventato troppo abitudinario: l’idea dell’altro è così radicata, è un’abitudine meccanica tale che, quando ti manca l’altro, ti senti vuoto, solo e cadi in un abisso. Ma se ti permetti di cadere dentro quell’abisso, ben presto ti renderai conto che l’abisso è scomparso e con esso sono scomparsi anche tutti gli attaccamenti illusori. A quel punto accade il miracolo più grande: sei felice senza alcun motivo.
 
Quando la tua felicità dipende dagli altri, anche la tua infelicità dipenderà dagli altri.
 
Cadere in un abisso, il più delle volte è associabile al sentirsi circondato da un uragano, da un vortice, al cui centro ci si sente immobili. L’uragano non ci permette di guardare oltre, né ci permette di trovare contatto col mondo circostante. Questo perché tanto è impetuoso quel tornado di negatività che immaginiamo di poter spazzare via tutto e di fare del male, avvicinandoci, a chiunque ci sia intorno.
 
Sentirsi soli ed essere soli io l’ho immaginato così.
 
Una mela. Una mela rossa su un albero di mele rosse.
 
La mela che è sola è una mela che sorride. Pende sul suo ramo, robusto e verde, e guarda il mondo come qualcosa di fantastico. Apprezza i suoi colori, i suoi rumori, la vita che c’è intorno. La felicità la si vede nella sua perfezione nella forma, nel suo colore lucido, nel suo sapore gustoso.
Anche se di fatto la mela non può specchiarsi, non può vedere il suo colore, né sentire il suo sapore, lei si sente così. E’ più isolata sull’albero, non ha modo di chiacchierare con le altre mele, ma non se ne cura. Sta bene così, con se stessa. Anche da sola.
 
La mela che si sente sola è diversa. Per prima cosa non sorride. Si sente una mela marcia, anche quando di fatti non lo è. Il ramo dal quale pende le sembra fragile, troppo fragile per mantenere il suo peso e sente che è prossimo a spezzarsi. Il mondo che vede è in bianco e nero, sfocato, triste. Non apprezza il mondo, né la soddisfa la vita.
Il contatto con le altre mele è pressoché inesistente. Non perché la distanza limiti il rapporto, bensì perché la sua condizione di disagio non le permette un contatto diretto. E’ troppo occupata a riflettere sul suo essere marcia, è troppo occupata a pensare ai guai di quel maledetto ramo rinsecchito che potrebbe catapultarla all’altro mondo.
E rimane sola. Sola e isolata dal mondo, aspettando o che uno squarcio di Sole irrompa nella sua solitudine e colori i suoi paesaggi o che qualche altra mela le faccia capire quanto sia colorato il mondo, quanto siano dolci le melodie, quanto sia robusto e verde l’albero su cui vive.
 
Giovanni

sabato 23 febbraio 2013

Scrivere, per me, non è dissimile dal respirare

"Scrivere è per me il bisogno di rivelarmi, il bisogno di risonare, non dissimile dal bisogno di respirare, di palpitare, di camminare incontro all'ignoto nelle vie della terra", Gabriele D'Annunzio...
 
Mi è capitato molte volte, anni fa. Ma per un po' di tempo non è tornato, a tormentarmi.
Non sono sicuro che sia tornato, nè mi permetto di invocarlo. Ma lo temo.
 
Piove stasera, piove tantissimo. Sento i tuoni che esplodono fuori, ma non mi affaccio. Sento il volto che brucia, e sento qualcuno che discute, da qualche parte. Ma sento pure che mi manca molto dell'essere che dovrei. Ed è per questo che ho timore.
 
"Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto che vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero!"
 
Ho il timore di aver perso (insieme a tutto il resto) un piccolo pezzo di cielo, che in fondo significa aver perso anche un pezzo di cuore. Ho il timore di aver perso la voce. Che probabilmente è l'unica cosa cui tengo di tenermi stretto, insieme alla "parola".
Ho il timore di aver perso la vista, e il coraggio di guardare in faccia l'alfa e l'omega delle cose reali. Ho il timore di aver perso il fiato, e di ritrovarmi ancora in pieno panico a fissare il soffitto con la testa tra le mani. Con la testa che sta scoppiando per una presenza eccessiva di pensieri assurdi.
Ed è quello che vorrei fare adesso.
 
"Il lato diabolico della malinconia è quello non solo di far ammalare le sue vittime, ma anche di renderle presuntuose e miopi, addirittura quasi superbe. Si crede di essere come Atlante che da solo deve reggere sulle proprie spalle tutti i dolori e gli enigmi del mondo, come se mille altri non sopportassero gli stessi dolori e non vagassero nello stesso labirinto"
 
Fino a non molto tempo fa, riuscivo perfino a vantarmi con me stesso di avere una pellaccia dura. Una pellaccia rafforzata dai tanti anni di miseria che mi erano caduti sulle spalle. Ero fiero di essermi rialzato, e di aver superato la mia personale sofferenza che ognuno nella vita è costretto ad affrontare.
Sì perchè chiunque deve prima o poi passarci. Ed averla già affrontata mi faceva stare meglio pensando al resto dell'esistenza.
Per la serie "il peggio è passato".
Ma non avevo messo in conto di dover salire ancora una volta sulla stessa croce.
 
"Bisogna toccare il fondo per risalire a galla"
 
Ho sonno.
E ho paura. Paura di perdere le poche certezze che ho. Paura di spostare la mia vita dal baricentro che negli anni sono riuscito a trovare. Paura di perdere quel sapore di vita amarognolo che m'è rimasto in bocca. Paura di sentire ancora una volta il fiato che si ferma al centro del petto, di sentirmi solo mentre cerco l'aria per respirare. Paura di sentirmi ancora una volta rinchiuso, in gabbia, mentre bevo una birra.
E di non trovare, in tutto questo, un lampo di luce che spacchi le nuvole nere che mi tormentano. E che mi indichi il sentiero per continuare.
 
"Ho una vita davanti" replicò Brida "E voglio viverla come tutti gli altri. Voglio poter sbagliare. Poter essere egoista. Avere dei difetti"

martedì 12 febbraio 2013

In ricordo di un'amica e di una compagna. Rosanna.

Ieri abbiamo fatto al Partito quella che per me è stata la prima riunione senza Rosanna Cimmino. Mi aspettavo che sarebbe stato estremamente difficile rientrare in sezione, senza di lei, pensare a una sedia vuota accanto a me, a non poter incrociare uno sguardo “complice” quanto il suo, andare fuori a fumare una sigaretta, da solo. Ma non avevo nemmeno idea di quanto fosse ancor più difficile.
L’assenza di Rosanna si percepiva in una maniera umiliante per i compagni. Sembravamo quasi silenziosi, e spesso lo eravamo davvero, ed era una situazione completamente paradossale se rapportata a una settimana fa.
A tratti sentivo persino il suo odore. La sua voce, la melodia della sua risata inconfondibile, mi risuonava ancora nelle orecchie. Ma lei non c’era. Non mi aveva avvisato, stavolta, della riunione. Non mi aveva telefonato stavolta, come faceva costantemente per chiedermi se ci fossi stato; non mi aveva mandato una mail per aggiornarmi sugli ultimi risvolti, per sfogarsi di un Partito che non va, per spronarmi a lottare per quello stesso Partito “che stanno distruggendo da tre anni”... Né mi aveva detto che non sarebbe più venuta.
Non ricordo sinceramente quale sia stata la vera prima volta che ho conosciuto Rosanna Cimmino, ma so perfettamente che non è essenziale ricordarlo.
Sono sicuro però del fatto che iniziai a conoscere meglio Rosanna in un’occasione particolare, la scomparsa di Pasquale Di Palma, noto esponente comunista sommese.
La scomparsa avvenne in prossimità del 25 Aprile e decidemmo per questo, noi del Partito Democratico, insieme ai compagni della Sinistra e dell’ARCI, di commemorare la sua persona in una iniziativa che unisse la sua memoria assieme a quella dei valori della Resistenza antifascista. Non avevo ancora partecipato (non essendone state indette) ad una sola riunione del Partito Democratico, malgrado ne fossi iscritto da più di cinque mesi; ma quando ci incontrammo nell’enoteca al Casamale, per discutere dell’organizzazione dell’iniziativa, constatai subito una perfetta sintonia con lei...
Era simpatica, era dolce e nello stesso momento determinata e battagliera. Completamente diversa dalla cattiva considerazione che allora avevo per i militanti del Partito Democratico, che a mio avviso stavano facendo scivolare il paese nella melma, con un atteggiamento apatico, contraddittorio e politicamente vuoto di uno spirito da concreta opposizione. E guardando i suoi occhi, ascoltando la sua voce, non mi spiegavo come fosse possibile.
Non ci vedemmo più per un po’ di tempo. La sezione del Partito restava immobile, e riunioni in cui anch’io, semplice iscritto, potessi partecipare non se ne vedevano all’orizzonte.
L’occasione spuntò quando, agli inizi dell’estate, Gino Cimmino, compagno di sezione e fratello di Rosanna, avanzò la sua candidatura alla segreteria provinciale del Partito. Non lo conoscevo, né sapevo che fosse suo fratello. Mi arrivò un messaggio in cui si invitavano gli iscritti cittadini ad una riunione, e naturalmente mi presentai.
L’unica persona che conoscessi quando arrivai in sezione era Rosanna. Fu lei a parlarmi di Gino, fu lei a parlarmi delle questioni interne al Partito e fu lei a chiedermi l’indirizzo e-mail per tenermi aggiornato.
Passarono i giorni, e ci sentivamo solo ogni tanto.
Iniziammo a sentirci e a vederci con costanza durante il periodo delle primarie. Fu lei, l’unica a ricordarsene, a informarmi con una mail che sarebbe stato possibile iscriversi all’albo degli elettori e che le faceva piacere rivedermi.
L’intero periodo delle primarie e delle parlamentarie siamo stati praticamente sempre insieme. Si era creata un’alchimia, una complicità inenarrabile. Dal punto di vista politico, si intrecciavano i nostri desideri di stimolare la partecipazione nella parte più giovane del paese, il bisogno di allontanare dalla politica gli interessi di parte e le politiche clientelari, la necessità di organizzare le primarie di coalizione a Somma e ricordo ancora il suo tono di voce quando mi parlava della battaglia per le primarie. Dal punto di vista umano, mi sentivo incoraggiato sempre a credere in me stesso, a lottare con le unghie e con i denti quando si aveva la consapevolezza di stare dalla parte della ragione, ma soprattutto a battagliare sempre contro l’arroganza, e le sue personificazioni, con impegno ed umiltà...
Rosanna era così, battagliera, decisa, caparbia, per lei era fondamentale che la partecipazione fosse stimolata in ogni caso e soprattutto che i giovani si sforzassero di partecipare alla vita politica. Aveva un cuore, una dolcezza, una simpatia e un’umiltà immensi! Abbiamo bisogno sempre più di nuove energie per dare forza alle idee è una frase che continuo a ripensare e sulla quale si sarebbe potuta fare un’enciclopedia. Me la scrisse durante il periodo delle primarie, quando mi disse che soltanto facendo tutto per bene, con linearità e trasparenza, si sarebbe stimolata la voglia di partecipazione.
Fece di tutto per mettermi in contatto con i dirigenti giovanili napoletani, perché pretendeva che anche a Somma potesse nascere l’organizzazione giovanile. Una giovanile che non guerreggiasse tra fazioni e componenti, ma una giovanile che entrasse con forza nello scenario politico, che facesse sentire a chi aveva orecchie per sentire le urla dei giovani schiacciati da una crisi di democrazia, di lavoro e di diritti. Un’organizzazione giovanile che per troppi anni era stata assente a Somma.
Non trovo ancora un senso a tutto questo, continuo a non capire perché Rosanna non ci sia più. Non capisco perché non mi telefoni per dirmi che dobbiamo organizzare la manifestazione, o che dobbiamo fare la battaglia per le primarie, o per ricordarmi che le incoerenze, i clientelismi, i familismi e l’arroganza si combattono con l’umiltà dell’impegno. Non me lo spiego. Ma continuo a sentire la sua voce. Continuo a sentirla che ci dice di impegnarci, in un paese lasciato nelle mani dei pagliacci e degli incompetenti; che ci dice di guardare sempre negli occhi, senza mai abbassare lo sguardo, e continuare, come lei, a sfidare le prepotenze con l’arma del senso civico...
Spiegare, o scrivere, quello che è nato in questi mesi tra me e Rosanna mi sta risultando difficile. Forse è praticamente impossibile trasmettere qualcosa che né le parole né l’inchiostro riescono a disegnare allo stesso modo dei miei occhi...
I miei genitori non sono mai stati particolarmente contenti del fatto che faccia politica attiva. Sono stati sempre i tipi da temere il fatto che un giorno possa avere bisogno dell’aiuto del grande politico di turno. Ed è una cosa che di fatto non ho mai sopportato. Con Rosanna avevo trovato quella mamma che s’interessasse dei miei studi quanto del mio pensiero politico; di come fossero andati gli esami quanto della considerazione che avessi di Matteo Renzi piuttosto che di Nichi Vendola; di cosa volessi fare un domani quanto della mia opinione sull’operato della segreteria del Partito.
E’ stata una batosta immensa perderti. Ho pensato di rinunciare alla sezione, alla politica, perché ormai avevo capito che non sarebbe più stata la stessa cosa, che era tutto finito. Ma ho pensato pure che sarebbe stato inutile. Ho pensato che ti avrei deluso e la tua voce mi rimbomba continuamente nelle orecchie con quelle maledettissime parole “Questo Partito deve cambiare”, “Giovà dobbiamo fare la battaglia per le primarie”.
Però mi manchi Rosà, e veramente non so più come fare senza te...
Ti voglio bene...
 
Giovanni

sabato 10 novembre 2012

"La solitudine" di Pier Paolo Pasolini

Bisogna essere molto forti
per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe
e una resistenza fuori dal comune; non si deve rischiare
raffreddore, influenza e mal di gola; non si devono temere
rapinatori o assassini; se tocca camminare
per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera
bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c’è;
specie d’inverno; col vento che tira sull’erba bagnata,
e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi;
non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte
senza doveri o limiti di qualsiasi genere.

Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri
- e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento,
tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti – non sono che momenti della solitudine;
più caldo e vivo è il corpo gentile
che unge di seme e se ne va,
più freddo e mortale è intorno il diletto deserto;
è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso,
non il sorriso innocente, o la torbida prepotenza
di chi poi se ne va; egli si porta dietro una giovinezza
enormemente giovane; e in questo è disumano,
perché non lascia tracce, o meglio, lascia solo una traccia
che è sempre la stessa in tutte le stagioni.
Un ragazzo ai suoi primi amori
altro non è che la fecondità del mondo.
E’ il mondo così arriva con lui; appare e scompare,
come una forma che muta. Restano intatte tutte le cose,
e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più;
l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito. Dunque
la solitudine è ancora più grande se una folla intera
attende il suo turno: cresce infatti il numero delle sparizioni –
l’andarsene è fuggire – e il seguente incombe sul presente
come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte.
Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,
specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena,
e per te non è mutato niente: allora per un soffio non urli o piangi;
e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza,
e forse un po’ di fame. Enorme, perché vorrebbe dire
che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe essere più soddisfatto
e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine
è la solitudine vera, quella che non puoi accettare?
Non c’é cena o pranzo o soddisfazione del mondo,
che valga una camminata senza fine per le strade povere
dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.